Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Quel filosofo di mio nonno". Buona lettura!
Quel filosofo di mio nonno
Aveva da poco superato la novantina, nonno Alfredo,
quando dovette, suo malgrado, chiudere gli occhi per sempre.
Lo avevano
sistemato, sul letto di morte, come lui voleva: tra le mani una corona del
rosario e un grosso tomo di filosofia. Quanto di più caro aveva avuto in vita.
Fede e ragione lo avevano accompagnato per tutto il suo cammino su questa
terra. A giusta ragione si era guadagnato, il padre di mio padre, fama di uomo
giusto e saggio.
Dalla sua
casa, che piano piano è diventata un museo e una biblioteca, andavano e
venivano studiosi e ricercatori di ogni estrazione sociale e di ogni dove. Per
tutti, il nonno-filosofo, aveva un consiglio, una parola di conforto, un
chiarimento, una delucidazione.
Una lunga
barba bianca suggellava la sua saggezza. Gli anni, per il nonno, non erano
trascorsi invano.
Lucido e
intelligentissimo fino all’ultimo respiro.
Mi aveva chiamato al suo capezzale il martedì prima.
Non immaginavo cosa volesse sussurrarmi
nell’orecchio. Sicuro di non essere ascoltato, se non da me, mi confidò
d’aver nascosto tra le sue carte un quadernetto, con la copertina di cartone
nero, nel quale aveva scritto ciò che tutti dovevano sapere. Dovevo cercarlo,
leggerlo e farlo leggere, dopo il suo funerale.
Confesso
che da subito non vedevo l’ora di avere tra le mie mani quel manoscritto.
Chissà di cosa trattava.
Il nonno
era ancora lì e non si decideva a tornare alla casa del Padre. La mia curiosità
aumentava smisuratamente. Un’impazienza traboccante aveva suscitato la
curiosità prima dei miei e poi di qualcuno di quei signori che visitavano il
moribondo.
Il giorno
dopo la sepoltura per me segnò l’inizio della caccia al tesoro. Misi a
soqquadro l’intera biblioteca, con il tacito consenso di mio padre. Premeva anche
a lui sapere cosa, il nonno, aveva annotato nel quaderno dalla copertina nera.
Poteva trattarsi di un lungo, circostanziato testamento? O semplicemente la
narrazione di una segreta storia d’amore di suo padre? O il resoconto di una
scoperta scientifico-letteraria?
Bisognava
trovare il quaderno ed io lo trovai.
Chiusi a doppia mandata la mia stanza. Meglio essere
solo. La lettura di quel quaderno poteva cambiarmi la vita. Rivoltai più e più
volte quel caro cimelio tra le mani. Benedissi il nonno che mi aveva prescelto.
La sua saggezza non poteva tradirlo. Lessi. Incredulo, rilessi. Come poteva
aver fatto tanto, il nonno? Lui, il saggio del villaggio. Cercai tra le righe.
Ci doveva essere qualcosa che mi sfuggiva. Chiusi e riaprii quel quaderno dalla
copertina nera. Non mi restò che sbellicarmi dal ridere.
Mio padre,
probabilmente più impaziente di me di conoscere il contenuto del quaderno,
aveva origliato da dietro la porta. Lo aveva interessato solo e soltanto la mia
risata.
Bussò,
ripetutamente. Mi pregò di farlo entrare. Mi supplicò di lasciar leggere anche
a lui, lo scritto del nonno. In fondo era suo padre. Non potevo non renderlo
partecipe. Il nonno, quello voleva. Tutti dovevano sapere.
Passai il
quaderno a mio padre. Lo aprì come fosse uno scrigno. Finalmente anche lui
avrebbe saputo. Lesse. Non gli parve vero e rilesse. Sfogliò nuovamente il
quaderno da cima a fondo. Anche a lui non restò che sbellicarsi dal ridere.
Ma cosa
c’era scritto in quel quaderno, vi starete chiedendo. Anche mia madre e mio
fratello e mio zio e alcuni degli amici più stretti, e uno dopo l’altro tutti
coloro che, al villaggio, sapevano leggere, si chiesero la stessa cosa. Tutti
lessero e rilessero. Tutti finirono con lo sbellicarsi dal ridere.
Cosa diavolo poteva aver
scritto quel saggio di mio nonno! Di mano in mano il quaderno capitò in quelle
del curato. Lesse e stramazzò per terra. Tra le mani il quaderno del nonno che,
da cima a fondo, recitava: “SBELLICATEVI DAL RIDERE”.
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