Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Sul terrazzo". Buona lettura!
"Sul terrazzo"
L’amministratore
lo aveva ribadito più volte che il palazzo abbisognava di manutenzione e in
modo serio. Non bastavano più i soliti rattoppi fai da te. Ma erano anni che le
assemblee condominiali svirgolavano sul problema. Si tirava a campare e il
tetto, lo capiva persino un bambino, si deteriorava sempre più.
Giovannina
restava dell’idea che il lastrico solare andava rifatto. Prima l’avrebbero
accontentata e meglio sarebbe stato, per tutti. Ne era certa e continuava a
pazientare.
In
verità, negli ultimi mesi, molti, del palazzo, avevano notato un continuo sali
e scendi dal terrazzo. Qualche volta lo aveva fatto anche il geometra Scorpelli
con il suo grosso cane lupo. Ma, essendo l’amministratore, nessuno aveva dato
troppo peso alla circostanza. Neanche Giovannina.
Il
giorno aveva piovuto a dirotto e il vento aveva tempestato l’intero
circondario. I sibili si erano protratti fino a notte inoltrata e Giovannina
proprio non riusciva a prendere sonno. Qualcosa le ronzava in mente. Piano
piano il dubbio che poteva accadere un imprevisto diventava sempre più serio.
Forse
non ci crederete, ma la donna, quella notte, aveva udito un urlo, o, comunque,
una voce, venire dalla tromba delle scale. Si era posta a sedere sul letto, per
prestare ancora più attenzione. Quella voce non veniva più dalle scale. Forse
dalla strada o dall’appartamento sottostante. Giovannina non era più sicura di
nulla. Qualcosa o qualcuno doveva esserci, da qualche parte. C’erano i ladri
sul tetto? Chiamo la polizia? Sveglio il condominio? Qualcuno mi dica cosa si fa in queste circostanze.
Giovannina
continuava a sperare, a sognare, ad ingigantire, a normalizzare la situazione,
ad ingigantirla, a creare fantasmi. Ormai ne era certa: sul tetto stava
accadendo qualcosa di inspiegabile. In strada non c’era nulla. Lo aveva
appurato sbirciando da dietro la tenda della camera da letto prima e del
salotto poi.
Sgranando
gli occhi nel buio e aguzzando le orecchie le era parso di sentire un lamento.
Forse un pianto. Il vento aveva cessato ma gli urli ancora no.
giorno
tutto si sarebbe risolto, probabilmente. Ma se sul terrazzo, che si chiedeva e si
apriva solo dall’interno, fosse rimasto qualcuno? Magari proprio
l’amministratore o qualche suo delegato? O qualche condomino sprovveduto?
Ne
aveva più volte sentito la voce. Le era parso una richiesta d’aiuto. Quindi,
per fortuna, non erano ladri. Loro non chiedono mai soccorso, sul luogo del
misfatto. Si tranquillizzò quel tanto che le bastò per cadere in dormiveglia.
Accadesse quel che doveva accadere. Lei, sul tetto, non doveva andarci.
S’allungò
le lenzuola fin sopra la testa. Chiuse gli occhi più che poté, cercando il
sonno, ma quello non venne.
Un
altro gridolino aveva riempito la stanza da letto. Giovannina risolse che
doveva alzarsi. Doveva andare sul terrazzo. Ci andò. Sotto alla vestaglia a
fiori nascose un vecchio mattarello. Poteva accadere di tutto.
Con
passo felpato si spinse fino all’ultimo piano. Sperò di non incontrare nessuno,
per le scale. Come spiegare quella passeggiata notturna?
Il
chiavistello della porta in ferro del terrazzo si trovava nella posizione di
chiusura. Lo spinse a destra. Tirò a sé la porta. Un grosso cane lupo
l’abbracciò.
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