(Damiano Leo, l'immagine è tratta dal profilo facebook di Damiano Leo)
Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Le olive e le pepite d'oro". Buona lettura!
Gli
errori che si fanno in gioventù s’impara a riconoscerli soli ad una certa età.
Dopo che se ne sono vissute, di esperienze. O anche dopo l’accadimento di
qualcosa di veramente strano, particolare, potrei dire incredibile.
A
me è successo proprio dell’incredibile e ve lo voglio raccontare. Ma non
storcete il naso e abbiate la compiacenza di credermi. Vi assicuro che quanto
vi racconterò, anche se frettolosamente, è veramente accaduto. Confesso che non
lo faccio poi tanto volentieri. Certe storie, difficile da digerire, potrebbero
creare problemi sia a chi le racconta, che a chi le ascolta. Ma, per onore
della verità, vi voglio rendere partecipi di quanto mi è accaduto. Statemi ad
ascoltare.
Non
avevo più di quindici anni e, di andare in campagna con i miei, proprio non ne
volevo sapere. Era cosa dell’altro mondo. Anzi, per me, chi lavorava nei campi,
da notte a notte, era fuori dal mondo. Meglio girovagare in città. Qualcosa da
mettere sotto i denti la si rimediava sempre e tempo per se stessi ne rimaneva
a iosa.
Non
volevo “spaccarmi” la schiena per un pugno di olive. Mia madre mi supplicava
invano di dar loro una mano e andavano.
I
mugugni, in famiglia, diventavano sempre più ossessionanti. Gli altri miei
fratelli, quelli che una mano la davano, già cominciavano a minacciare di
comportarsi come me. Qui si lavora tutti o noi non lavoriamo.
Mio
padre era un uomo paziente e soffriva in silenzio. Mia madre, più volte, gli
chiese di porre rimedio, di fare assolutamente qualcosa.
Una
sera, mio padre e mio fratello maggiore, rientrarono più tardi del solito.
Trafilati. Gioiosi come non li avevo visti mai. Chiamarono subito mia madre e
le mostrarono qualcosa, volgendomi entrambi le spalle. Ero troppo piccolo per
vedere, per capire.
«Ma
queste sono pepite, pepite d’oro!» esclamò felice mia madre e continuò: «Siamo
ricchi! Siamo ricchi!!! Gennarino –rivolgendosi a me- tuo padre ha trovato una
fortuna!».
La
fortuna, mio padre e mio fratello, l’avevano trovata raccogliendo le olive. Le
pepite d’oro le avevano trovate separando il frutto dalle foglie. Almeno così
mi dissero i miei e mi convinsero a seguirli nei campi.
«Più
siamo, più facile sarà trovare altre pepite», mi disse mio padre e cominciai a
“spaccarmi” la schiena anch’io.
Raccolsi
olive già dal giorno dopo il felice ritrovamento. Un padre non mente mai ad un
figlio. La bella scoperta, prima o poi, sarebbe capitata anche a me. Dovevo
solo raccogliere le olive, tante olive. Anche al freddo, con la pioggia,
febbricitante, per tanto, tanto tempo. Così come avevano fatto mio padre, mia
madre, i miei fratelli.
Quel
grande telo verde, nel mio primo anno di raccolta, si riempì, più e più volte,
soltanto di olive. Giacché le avevo raccolte furono portate a molare. Erano le
mie olive che andavano molate: ci andai anch’io, al frantoio. Una lunga fila di
raccoglitori d’olive aspettava il proprio turno.
A
notte inoltrata ci raggiunse mio padre.
Si
trascinava dietro un paio di capienti contenitori. Li allungò all’uomo della
molitura. Mi chiamò a sé.
«Guarda
le tue pepite, le tue pepite d’oro» mi disse felice mio padre.
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