(Damiano Leo, l'immagine è tratta dal profilo facebook di Damiano Leo)
Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Benedetta stanchezza". Buona lettura!
La
possibilità di andare a scuola oltre le medie, in casa Manganiello, l’avevano
avuta solo i maschi.
Così
Giovannina aveva da subito cominciato a lottare con letti da rifare, pietanze
da preparare, piatti da lavare e poi spazzare, stendere, stirare, andare al
mercato, alle poste per pagare questa o quella bolletta, rammendare, tessere,
dar da mangiare a pesci e pesciolini dell’acquario, portare Blek – il cane di
casa – a fare i suoi bisogni, accendere il fuoco nel camino, rifornire il
deposito di legna attingendo dalla cantina, apparecchiare per la cena,
sparecchiare, lavare nuovamente pentole, piatti e posate e mille altre
incombenze familiari.
A
tutto si fa il callo e Giovannina aveva due mani che sembravano pale da forno.
Andare su e giù per casa, uffici e paese, via via, le dava sempre meno
preoccupazione. La fatica di fare e rifare, le procurava sempre meno dolore.
Era come per gli antichi che, per abituarsi alla cicuta, ne bevevano poco per
volta, ma sempre, anche quando non la sopportavano.
Per
Carmelo, come per molti uomini di allora, le cose erano andate diversamente.
Studio
e lavoro, uno soltanto, fino allora.
Usciva
di casa alle nove meno dieci di mattina e si ritirava alle tre del pomeriggio.
Una
volta, proprio mentre tornava dal suo impiego, incontrò Giovannina e i due,
sudate le classiche sette camicie, convogliarono a giuste nozze. Il lavoro
c’era e la sua donna, già da tempo, sapeva lavare, stirare, cucinare, filare,
rammendare, tinteggiare, accendere il fuoco. Sapeva anche, all’occorrenza,
governare animali domestici.
Il
pasto serale, da anni, per i due coniugi che già avevano una mezza dozzina di
figli, rappresentava un rito al quale nessuno doveva mancare.
Giovannina,
testa china sui fornelli, riscaldava la minestra per il marito. In due o tre
pentole a parte cuoceva primi e secondi per i figli. Intanto che l’acqua
raggiungeva l’ebollizione apparecchiava per tutti, affettava il pane,
grattugiava il formaggio, lavava e condiva l’insalata. Toglieva e rimetteva i coperchi
prima sulla pentola della pasta e poi del riso, attenta alla cottura. Toglieva
dal gocciolatoio l’avanzo dell’insalata che spariva nella pattumiera con un
colpo di gomito. Le mani impegnate a rimestare.
Un
paio d’urli e tutti erano a tavola.
Papà
sbuffava tra i baffi.
Se
il più piccolo dei figli aveva “dimenticato” altrove la sua sedia, la mamma la
recuperava. La mamma benediceva la tavola; versava vino e acqua; condiva
l’insalata; non faceva mancare una spruzzatina di parmigiano al grande; pecorino
al piccolo; caprino per il marito e, se ne rimaneva ancora un po’, era per sé.
Tornava
un attimo di là. C’era una camicia da smacchiare, in bagno. E giacché si
trovava da quelle parti, tirava fuori i pigiami; sostituiva le federe ai letti,
innaffiava i gerani sul balcone. Di corsa tornava in cucina.
Carmelo,
inchiodato alla sua sedia, sbuffava: «Non si fa mai giorno, in questa casa!».
Buon
appetito a tutti, mentre la mamma, ancora in piedi, toglieva dal lavello le
prime pentole; riattizzava.
«Il
sale, manca il sale!». State, state, va mamma a prenderlo.
«Il
pane, è finito il pane! Chi lo prende? Chi lo affetta?». Non muovetevi, ci
pensa mamma, tanto è ancora in piedi.
Giovannina,
non si sedeva mai.
Carmelo,
era stanco, molto stanco.