(Damiano Leo, l'immagine è tratta dal profilo facebook di Damiano Leo)
Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "In fondo al lago". Buona lettura!
"In fondo al lago"
Correva voce che, in fondo ad un lago del Nord, viveva
uno strano animale mitologico. Sfuggito all’estinzione della sua razza.
Sopravvissuto per chissà quale buona e fortuita coincidenza.
Ma
nessuno, a memoria d’uomo, lo aveva visto davvero.
In paese,
quello sconosciuto animale d’altri tempi, lo avevano cacciato in tutte le
favole. Fritto e rifritto mille volte. A scuola aveva scatenato la fantasia di
chicchessia.
Solo
Gennarino, volutamente, ignorava la leggenda.
«Siate
seri, se potete!» liquidava, frettolosamente. Lui proprio non voleva saperne di
avvistamenti. Aveva i piedi per terra e lì dovevano rimanere, almeno finché la
ragione non lo avrebbe abbandonato. Gli altri, anche i suoi amici, credessero
pure quello che volessero. Lui no, lui era un ragazzo con la testa sul collo.
Più d’uno, in paese, lo riteneva fin troppo
maturo per la sua età. Nessuno, comunque, lo aveva mai dipinto come un
credulone. A Cesare quel che è di Cesare. Gennarino, a giusta ragione, meritava
stima e considerazione.
Libero,
Gennarino, di non credere alle apparizioni dell’animale mitologico, di quello
che, di tanto in tanto, qualcuno notava nell’ormai famoso lago.
Un lago,
piccolo in verità, c’era anche a qualche chilometro da San Michele Piovano,
paese natale del giovane dai piedi per terra e dalla testa ben piantata sul
collo.
Gennarino,
al laghetto, si spingeva quasi tutti i fine settimana. Un’ora di corsa,
normalmente al tramonto, andata e ritorno dal lago, per tenersi in forma. Senza
grilli per la testa. Corricchiare e basta.
Non
guardava mai troppo in giro. Neanche verso il lago. Ecco perché non aveva mai
notato nulla di particolare. Nulla che potesse destare la sua attenzione.
Gennarino correva avanti e indietro e tornava a casa. Una doccia e tutto come
prima.
Una sera,
però, non fu tutto come prima. Il lago era là, come sempre. Qualche metro
ancora e si torna indietro.
“Giacché
ci sono, allungo un poco”, deve aver pensato il giovane podista, giacché si era
spinto oltre. Guardò distrattamente verso quella massa d’acqua. Il sole si era
tuffato proprio lì.
Non era
mai capitato, a Gennarino, d’essere al lago nell’ora in cui non è più giorno e
non è ancora notte. Non si era mai spinto fino a quel punto.
Un ultimo
sguardo, prima di tornare. S’arrestò di botto. C’era qualcosa di strano, in
mezzo al lago. Gennarino si stropicciò
gli occhi. Guardò ancora, accigliandosi. C’era proprio qualcosa. Qualcosa di
nero, grosso, molto grosso.
Il podista
piegò le ginocchia. Sudò tantissimo e si accasciò al suolo.
Ancora in
barella e Gennarino, incredulo, continuava a raccontare l’accaduto.
«L’ho
visto! Credetemi, l’ho visto!!!»
«Certo che
l’hai visto» lo tranquillizzarono medici ed infermieri e, mentre lo
accompagnavano nel camerone degli uomini, «certo che lo hai visto, è lì da
quando è nato il mondo, quello scoglio».
Nessuno
aveva mai parlato di alta e bassa marea, al povero ricoverato.
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