Lo avevano avvisato quando forse non c’era più nulla
da fare. Per non dargli preoccupazioni. Non serviva a nessuno fasciarsi la
testa prima di rompersela e Gennarino, per meglio rendere negli studi, doveva
essere lasciato in pace. Almeno finché si poteva, ma, in quella circostanza,
proprio non si poteva. Suo padre versava in gravi condizione di vita.
“Corri”,
gli aveva detto sua madre al telefono e aveva aggiunto “se ci tieni a vederlo
ancora, tuo padre”. Certo che ci teneva. Come potevano pensare diversamente?
Riempì a
casaccio il primo zaino che gli capitò sotto mano e si chiuse la porta alle
spalle. Ignorò volutamente il portinaio che lo salutava, per non perdere tempo.
Doveva raggiungere la stazione prima possibile. Un treno, a quell’ora, poteva
ancora esserci. Forse l’ultimo della giornata. Non perderlo avrebbe significato
essere a casa nella prima mattinata. Cioè prima possibile e suo padre sarebbe
stato ben felice.
Felice, in
verità, sarebbe stato anche lui. Ma quando Gennarino fu ai binari il
capostazione gli disse che l’ultimo treno era appena partito. Accidenti! E poi
accidenti!!!
“Adesso,
come faccio?” Chiese prima a se stesso e poi all’uomo della paletta verde e
rossa. Quello gli suggerì di correre in piazza Vittorio Emanuele che, forse, ci
doveva essere un pullman.
Certi
giorni nascono proprio storti. Niente treni fino all’indomani e, forse,
Gennarino poteva fare in tempo a prendere un pullman, forse.
Accidenti!
E ancora accidenti!!!
Maledisse
il capostazione, prima col pensiero e poi, mano a mano che si allontanava,
anche ad alta voce. Per partire non gli restava che quel mezzo stradale, se
pure c’era ancora.
Non c’era
più nessuno, per strada. Piazza Vittorio Emanuele sembrava essersi “trasferita”
in un altro paese. Irraggiungibile, nonostante il trafelamento, sempre più
pesante ed insopportabile, di Gennarino.
“Maledizione,
ma dove si è cacciata questa benedetta piazza!”, rimuginava Gennarino, sempre
più arrabbiato, col treno, col capostazione ed anche con chi lo aveva avvisato
all’ultimo momento.
Il pullman
no, quello non poteva perderlo, seppure ci fosse. E se non c’era avrebbe
mandato tutti, proprio tutti, a quel paese. A tratti sentiva che la rabbia gli
annebbiava la vista. Alzò il passo, nonostante la stanchezza e il malumore.
La luce
fioca di un vecchio lampione illuminava appena una fontana, quella di piazza
Vittorio Emanuele. Finalmente. La piazza c’era ma il pullman no. “Magari deve
ancora arrivare”, pensò Gennarino speranzoso. Due balordi sorseggiano una birra.
Chiese loro del mezzo di linea.
«Na, è
appena partito» fu la loro risposta e lo ribadirono pure: «Mo proprio se n’è
andato, due passeggeri e un autista».
A
Gennarino gli si rizzarono i capelli.
Proprio non era possibile. Non voleva crederci. Non poteva andare tutto storto.
Prima il treno, poi il pullman. Maledizione, maledizione!, maledizione!!!
Gennarino
andò su tutte le furie e, come aveva promesso, mandò tutti a quel paese, ma
proprio tutti. Imprecò perfino contro il cielo e decise, suo malgrado, d’incamminarsi
a piedi. Chissà se, strada facendo, non incontrava qualcuno.
Sbraitava
e andava.
Mannaggia
qui, mannaggia là e andava.
Le stelle
illuminavano appena la strada. Non una macchina, un camion, un mezzo qualunque.
Solo lui, nella notte. Cammina e impreca, Gennarino. Cammina e bestemmia,
Gennarino, fino alla collina. Dove, oltre
una lunga curva a gomito, intravede una luce, forse un fuoco. Sì, è
un proprio un fuoco. Allunga il passo.
Gli si
parò davanti uno spettacolo impressionante. Un pullman, due passeggeri e un
autista erano volati nel vuoto, schiantandosi giù nel burrone sottostante.
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