Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Il nonno venditore". Buona lettura!
"Il nonno venditore"
Per
nonno Alfredo comprare e vendere era
stato come respirare e inspirare. Da sempre e proprio non riusciva a smettere,
nonostante la sua veneranda età. Non sapeva vivere se non mercanteggiava.
Certo, negli ultimi anni aveva eliminato i mercati più lontani, ma a quello di
San Michele Piovano, che si svolgeva di sabato, non era mai mancato. Aveva,
però, ridotto la mercanzia da portarsi dietro.
Se facciamo eccezione per una
bicicletta che gli avevano rubata praticamente appena l’aveva acquistata, nonno
Alfredo non aveva mai posseduto mezzi di locomozione. Cavallo e calesse, che
pure razzolavano nel suo podere, erano ad uso esclusivo dei lavori campestri,
tenuti prima da suo padre e poi dai suoi figli. A lui toccava spostarsi in
treno o in pullman. O forse era così che preferiva.
Di buon mattino, quando ancora tutti
dormivano, il nonno si imbacuccava per benino, inforcava una vecchia valigia di
cartone dove dentro aveva sistemato tutto l’occorrente per il mercato e
raggiungeva la fermata del pullman. Per San Michele era quello il mezzo più
idoneo. Il nonno, vecchio venditore ambulante, non lo disdegnava. Solo negli
ultimi anni l’ho sentito mugugnare. Ma non contro il mezzo. Si lamentava di un
giovane autista che, appena il nonno impegnava il predellino del mezzo, lui gli
scaricava addosso una miriade di frasi del tipo: “Ma stattene a casa; hai una
certa età; goditi la pensione” oppure, “Ma chi te la fa fare; ma non potevi
dormire ancora un poco” e via così fino all’arrivo. Quell’autista, per premiare,
a modo suo, la fedeltà al lavoro del
nonno, mentre quest’ultimo andava ad accomodarsi, lui enunciava i giorni della
settimana concludendo: “Venerdì, Alfredo e domenica”, indispettendo non poco il
nonno.
Comunque il nonno andava. Non voleva proprio
smettere di portare al mercato le sue mercanzie. In verità sempre più
insignificanti, ma per lui l’importante era vendere, continuare, finché le
forze glielo consentivano, ad essere un mercante ambulante. Nella sua valigetta
di cartone, poco più grande di un cassetto da scrivania, era riuscito a farci
entrare tutto, proprio tutto, persino sette o otto bacchette, non più grosse di
un mignolo, che lui poi assemblava per costruirsi il carrellino porta merci.
Quattro piccole ruote, che si era procurato chissà dove, completavano il suo
banchetto mobile. La valigia aperta fungeva da piano d’appoggio. Dentro
campeggiavano tre o quattro accendini, un paio di sveglie di quelle da caricare
manualmente, un accendigas, un orologio fuori moda, una diecina di taglia
unghie e poche altre diavolerie senza valore.
Al mercato lo conoscevano tutti. Lui,
il nonno, non aveva un posto fisso e si permetteva il lusso di girare
indisturbato in lungo e in largo. Nessuna guardia comunale lo aveva mai
redarguito. Licenza o no, nonno Alfredo poteva continuare a proporre i suoi
prodotti. Lo lasciavano fare. Anche agli esattori il nonno faceva tenerezza e
lui continuava imperterrito a “cantilenare”: “L’accendino! L’orologio!
L’accendigas!” ma nessuno comprava mai niente. Nessuno, mai nessuno. Povero
nonno.
Un giorno d’agosto, faceva molto caldo,
era scoppiata l’afa e mio nonno era sempre là, al mercato. Stesso rito di
sempre: apri la valigia; monta il carrellino con le sue quattro ruote
recuperate chissà dove; sciorina accendini, sveglie, accendigas, orologio,
taglia unghie e poche altre diavolerie senza valore. Su e giù per il mercato.
Nessun acquirente, come sempre.
Quel giorno, però, al mercato capitò
uno dei tanti turisti che ultimamente avevano cominciato ad apprezzare i nostri
luoghi. Osservò a lungo mio nonno che non riusciva a vendere nulla. “Povero
vecchio”, pensò quel signore, “che tenerezza che mi fa”. Si accostò al nonno e
gli chiese il prezzo dell’orologio. Gli sembrò un prezzo onesto e abbordabile.
Lo comprò. Il nonno volle benedirlo come faceva da quand’era bambino: “Che Dio
ti benedica, figliolo” e il turista, di tutta risposta, gli comprò tutto,
valigia compresa. Il nonno lo benedisse ancora e tornò al suo pullman.
Fu l’ultima volta che lo faceva, ma lui
non lo ha saputo mai.
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