Poco distante da Ceglie,
antico villaggio messapico che molto presto divenne patrimonio della chiesa di
Brindisi in possesso della quale rimase fino al XIV secolo, è una chiesetta
sotto il titolo di S. Maria della Grotta,
oggi ad altro uso adibita, meritevole d’essere studiata come documento di una
certa acquisizione culturale tipicamente nordica, o meglio umbro – toscana, in
questa regione, nel secolo XIV.
Essa si sviluppa su pianta
rettangolare. L’ampiezza all’interno è di m. 6, la lunghezza dalla parete dell’ingresso
ai pilastri dell’arco interno dell’abside non più esistente, è di m. 22. La
copertura originariamente dovette essere stata programmata a capriate con tetto
a due spioventi. In fase di costruzione però si pensò di evitare il carico
sulle pareti strutturate a due facce con pietra calcarea locale, carparo e
tufo, e si impostarono quindi su lesene, addossate e solo in qualche punto
immorsate nelle pareti, degli archi a sesto acuto molto eleganti che, in
armonia con l’arco dell’abside, creavano, nella particolare prospettiva dello
stretto e lungo vano, un effetto suggestivo di gusto prettamente gotico. Nel
progetto, così variato, gli archi dovevano scompartire tutta la copertura in
sei cieli a vele come accertano gli attacchi ancora visibili in alto sulla
prima coppia di pilastri. Questo progetto però non venne mai eseguito. Sopra
gli archi invece poggiarono i due spioventi del tetto sostenuto da travi
orizzontali all’asse della chiesa e una perpendicolare tra arco ed arco, che in
alto poggiava sulla trave dorsale, e in basso su una mensola a gola rovescia in
legno incastrata nella parete.
Le pareti, ritmate dalle
lesene e forate da strette monofore decorate, dovevano essere completamente
affrescate e con discreta tecnica. Oggi restano pochi brani di affreschi nella
parete estrema, adibita a stalla. Di questi brani meritano un certo interesse
alcune figure di Santi ed essenzialmente quella di Sant’Antonio Abate e di
altro Santo con abiti domenicani.
Dal lato destro un
portichetto rustico ma singolare, con facciata decorata da anelli orizzontali
in calcare che dovevano servire per tenere i fiori e gli ex – voto, immetteva
all’interno della chiesa ed anche in una grotta carsica naturale ove si è
scoperto, semicoperto da un altare rinascimentale in demolizione, il frammento
di affresco, la Vergine col Bambino,
del quale resta visibile solo il Bambino.
(Madonna della Grotta, parte restante di un affresco, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, altare presente nella grotta, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, parte di un affresco presente in grotta, foto Pino Santoro)
La facciata della chiesa
resta semplice ed elegante, si sviluppava rettangolare fino all’altezza delle
grondaie del tetto; poi seguiva la linea del tetto a doppio spiovente con
semplice cornice ed al centro si concludeva con l’innesto di uno snello ed
elegante campanile a vela. Sotto il campanile vi era una ampio rosone del quale
resta la cornice e nessun elemento della raggiera. Sotto vi è l’ingresso a banda
piana sormontato da un lunettone limitato da arco a ogiva decorato che poggiava
su colonnine ottagonali e capitelli con figure zoomorfe. In fase di
costruzione, o meglio dopo, si volle accoppiare al campanile centrale ad un
solo fornice e per una sola campana, facendo perdere così all’assieme
quell’equilibrio estetico programmato dal costruttore.
(Madonna della Grotta, parte superiore della chiesa, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, parte del campanile, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, parte del campanile, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, rosone presente sotto il campanile, foto Pino Santoro)
(Madonna della Grotta, ingresso della chiesa, foto Pino Santoro)
Prima di fare qualche
considerazione sui particolari architettonici e di pittura del monumento, è
bene chiarire che esso è firmato da un ancora ignorato architetto, o come egli
si dice <<magister muratori bus>>
salentino del secolo XIV. Sulla facciata, sotto il rosone, appena a destra, vi
è sopra una lastra di pietra dura, una scritta in caratteri gotici su tre
righi, che, sciolta nelle facili abbreviature, così dice:<<Hoc opus aedificavit magister muratori bus
Dominicus de Juliano>>.
(Madonna della Grotta, lastra presente sulla facciata della chiesa. Reca il nome dell'architetto Domenico de Juliano, foto Pino Santoro)
Non si conoscono altre su
opere. Del resto egli è ancora ignorato anche dagli studiosi locali di storia
dell’arte. L’esame dei monumenti coevi dà motivo di credere che egli abbia lavorato
abbondantemente e con certo profitto in tutta l’area della regione. Dalla sua
scuola deve provenire il discusso Domenico di Martina o Martana che nel XIV
secolo costruì la chiesa matrice di Grottaglie, varie volte restaurata, ove si
ritrovano elementi comuni alla chiesa di Santa Maria della Grotta di Ceglie
come le colonnine ottogonali ed altri elementi del portale che accusano
un’indiscussa parentela con quelli del portale maggiore della Basilica di San
Nicola di Bari.
Ma è necessario qui un
interrogativo. È egli Domenico proveniente e cittadino del centro omonimo
Juliano del Salento o è già il discendente di uno di Juliano, da tempo
trasferito altrove e il cui cognome nel secolo XVI è presente in Ostuni?
Qualche ricerca d’archivio potrà chiarire il dilemma chiarendo meglio
l’identità di questo geniale ignoto architetto salentino del XIV secolo...
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