Lo avevano adagiato su un tavolo di marmo all’obitorio
e mi avevano rintracciato per il riconoscimento. Ero io il parente più
prossimo, io che sono suo fratello maggiore. Nessuno, meglio di me, avrebbe
potuto adempiere quel triste rito.
Mio
fratello Gennarino, immobile su quel freddo tavolo, non poteva essere
diversamente giacché era saltato in aria con tutto il suo carico di tritolo,
aspettava me.
Ci sono
andato, al cimitero. Come avrei potuto sottrarmi? Due carabinieri, che sembravano
la meraviglia fatta carne, mi stavano uno a destra e l’altro a sinistra. Come
se ad armeggiare con quel maledetto ordigno fossi stato io e non quel poveretto
di mio fratello. Loro lo avevano già ispezionato, nel sottoscala
dell’incidente. Se l’erano guardato per benino, mio fratello. Almeno così mi
hanno raccontato e non si spiegavano quello strano sorriso stampato su ciò che
era rimasto del viso di quel disgraziato di Gennarino.
L’ultimo,
strano, sorriso di mio fratello aveva fatto subito il giro del paese. Più
dell’esplosione. Quello che più meravigliava non era tanto il boato, in pieno
giorno, che pure era stato forte, quanto quell’espressione di grande felicità.
Notata da chiunque aveva avuto il coraggio di dare una sbirciatina nel
sottoscala del triste evento. Gennarino, non v’era dubbio, sorrideva nel
tentativo, non riuscito, di confezionare una nuova bomba per capodanno. Ma
perché? Nessuno si era saputo dare una risposta, nemmeno gli inquirenti.
Quelli, forse, volevano saperlo da me, dopo il riconoscimento.
I due
militi si misero da parte e mi lasciarono entrare, nell’obitorio. Mio fratello
era là, coperto da un grande telo verde. Lo riconobbi subito, prima ancora di
scoprirlo. Conoscevo bene tutte le sue curve. Lo avevo osservato, così coperto,
mille e mille volte. A lui piaceva dormire, con le coperte d’inverno e le
lenzuola d’estate, tirate fino al capo. Vivevamo sotto lo stesso tetto da
sempre, io e mio fratello.
Quelli, i
due carabinieri, però, vollero che sollevassi il telo dalla faccia. Per essere
sicuro che si trattasse di mio fratello. Anche a me era giunta la notizia dello
strano sorriso. Uno, salta in aria e sorride. Non ha il tempo di chiedere
aiuto, perdono, ma di sorridere sì. Beata incoscienza. Incosciente felicità.
Mio fratello era là, immobile. Toccava anche a me guardarlo in viso. Capire, se
c’era capire. A me, più che a chiunque altro, chiedevano non solo di
riconoscere, ma anche spiegare quel sorriso, quel ghigno di gioia, di
contentezza.
Mio
fratello, poveretto, aveva riso. Saltato in aria, mentre armeggiava la sua
miccia, il suo tritolo, i suoi intrugli esplosivi e aveva sorriso. Sì, sorriso
e tutti ne erano meravigliati. Anche i due carabinieri. Nessuno, però, capiva.
Dovevo farlo io, che ero suo fratello.M’accostai
lentamente al tavolo di marmo, dove mio fratello aspettava d’essere
riconosciuto e capito.
Levai, da
un angolo, il telo verde. Tanto quanto bastava per scoprire quello che era
rimasto del volto di mio fratello. Era proprio lui, il mio povero fratellino e
sorrideva, come non aveva fatto mai. Neanche il giorno della Prima comunione.
Lasciai che il lembo del telo verde tornasse al suo posto. Giunsi le mani in
preghiera. In alto lo sguardo, per non piangere. Un Eterno riposo e poi un
altro e un altro ancora. Capii.
Gennarino
era felice d’essere morto da solo. Con il suo tritolo, la sua miccia, i suoi
intrugli esplosivi che, a capodanno, chissà quante vittime avrebbero potuto
fare.
Nessun commento:
Posta un commento