(Damiano Leo, l'immagine è tratta dal profilo facebook di Damiano Leo)
Ricevo da Damiano Leo e pubblico il racconto "Al mio funerale". Buona lettura!
"Al mio funerale"
Mi viene in mente l’evangelico: “Chiedete e vi sarà
dato”. Così ho chiesto a me stesso e,
con mia grande sorpresa, ho ottenuto di partecipare al mio funerale.
Sicuramente non è una cosa di questo
mondo e, ne sono certo, non è mai stata concessa a nessuno. Forse perché a
nessuno è venuto mai in mente di chiederlo. Io l’ho fatto, dopo che ci pensavo
da tanti anni. Ho rimuginato, pensato e ripensato, sognato più e più volte di
accompagnare il mio feretro al cimitero, di vedere da vicino cosa mi succederà
nel giorno della mia dipartita, che qualcuno o qualcosa che regola questa
nostra vita terrena si sarà seccato a tal punto da concedermelo. Nutrivo così
tanta curiosità da smuovere le montagne. Dovevo necessariamente essere
accontentato. Lo volevo con tutte le mie forze. Sono stato accontentato.
Provateci anche voi, non si sa mai. Se
è successo a me, potrà succedere anche a voi e leverete lo sfizio di sapere
anche voi cosa succederà nel giorno del vostro ultimo viaggio.
Comunque a me è successo, ve lo posso e
voglio raccontare. Voi, però, non andate a dirlo in giro. Non voglio passar per
matto e non voglio che, tutti insiemi, contemporaneamente, chiedono a se stessi
o a chi vogliono loro, di vivere la mia stessa esperienza. So da me che non è
possibile. Non sta né in cielo, né in terra. A nessuno, a parte me, è dato di
accompagnarsi al campo santo.
Vi dico subito che ne sono uscito
profondamente deluso.
Nulla è andato come ho sempre
immaginato.
Al primo segnale di mancamento, che
avevo avuto dopo che mi ero sorbito un caffè doppio, al bar del centro,
avrebbero dovuto chiamare un medico o il 118, ma nessuno lo fece. Dissero che
era stato solo un lieve calo di pressione. Bastava un bicchiere d’acqua ben
zuccherata e tutto si sarebbe risolto. Non bastò, giacché, la stessa notte,
anche se tra le mura domestiche, mi accasciai al suolo senza più rialzarmi.
Anche questa occasione fu diversa da come l’avevo immaginata io. Accasciarmi al
suolo sì, ma mentre mi sbellicavo dal ridere, in un teatro.
Mi ricomposero adagiandomi in una bara
color marrone scuro. Io ne avevo immaginata una più chiara, molto più chiara.
Il vestito nuovo, chiaramente color nero e io lo avevo sempre desiderato
bianco, me lo infilarono a forza due becchini, sebbene avessi sempre preferito
che a sistemarmelo dovevano essere le amorevoli mani di mia moglie. Lei che
subito urlò il suo dolore ai quattro venti, mentre io avevo preferito che, il
dolore, se lo doveva tenere ben stretto nel suo cuore.
Sul manifesto scrissero prima il cognome
e poi il nome. Io preferivo il contrario, giacché avevo sempre detto che
l’individuo viene prima della famiglia.
Spogliarono il salone per riempirlo di
sedie, disposte tutte intorno alla bara. Mentre io mi ero immaginato in camera
da letto, con tutto, ma proprio tutto, al proprio posto.
Per me niente fiori, solo opere di
bene. Invece mi affogarono la sala, il pianerottolo ed anche le scale di
garofani, rose e gigli da togliere il respiro a chiunque.
Volevo anche i bambini durante la
veglia funebre. Dovevano sapere da subito che nessuno è eterno su questa terra.
“Nascendo, accettiamo la morte”, avevo detto sempre. Di ragazzini, al mio
funerale, neanche l’ombra.
In chiesa c’erano solo i parenti più
stretti. E pensare che, per me, avessi sognato il tutto esaurito.
Il prete, d’accordo con la povera
vedova, aveva dispensato dal triste rito delle condoglianze. Eppure, secondo
me, quello era il momento migliore per far sentire la propria vicinanza ai miei
parenti più prossimi. Anche il momento per far sapere loro chi c’era e chi non
c’era. Invece niente. Tutti a casa, contrariamente a come avevo sperato io.
Non sopportavo le bande di paese. Mi
accompagnarono con la banda di paese. Detestavo le marce funebri. Come per
dispetto, tanto non potevo né parlare, né sentire, intonarono subito la più
classica delle marce funebri.
Per uscire dalla chiesa mi caricarono
su di un vecchio carrello a quattro ruote. Io avrei preferito essere
accompagnato a spalle.
Le campane suonarono triste a distesa.
Io avrei preferito il silenzio. Massimo silenzio. Tanto tutti, prima o poi,
sapranno che me ne sono andato anch’io.
Il corteo fece il giro della
parrocchia. Io avrei preferito tirare dritto per la sepoltura. Senza aspettare
il giorno dopo, come invece fecero.
Nulla, lo ribadisco, proprio nulla è
andato come volevo io, al mio funerale.
Così
ho deciso di non morire, mai.
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